Emissioni militari, o dell’orrore metodologico della scimmia nuda armante [#GreenWarZone/1]
Perché le emissioni militari climalteranti sono censurate? L’ambientalismo è antimilitarista? Breviario sulla stupidità bellica della scimmia nuda. I casi studio Ucraina, Palestina e...Sardegna

Se fosse un Paese reale, dicono i dati dello Scientists for Global Reponsibility1, il complesso militar-industriale sarebbe il 4° al mondo per emissioni di carbonio, con un peso specifico – una “impronta carbonifera”2, in gergo – pari al 6% sulle emissioni climalteranti annue globali, dietro Cina, Stati Uniti e India, davanti a Russia e Giappone. Per i decisori politici questo dato è irrilevante – soprattutto irrilevato – perché le cosiddette “emissioni militari” non sono volutamente inserite nel più generale calcolo delle emissioni climalteranti e, di conseguenza, vengono altrettanto volutamente lasciate fuori dai discorsi sui cambiamenti climatici, come dimostra l’assenza di tale argomento dall’agenda della Cop28.
Primo approccio al virus della Scimmia nuda armante
Il buco nero informativo che viene creato a protezione delle emissioni militari climalteranti fagocita politiche ambientali, economiche e sociali, colpisce direttamente il diritto all’informazione sotto vari temi fino alla qualità della democrazia “reale”. È così che la scimmia nuda, riprendendo la definizione di Desmond Morris3, diventa una scimmia nuda armante.
Studi comparati di varia natura sui comportamenti umani e quelli di varie specie di scimmie certificano come il comportamento bellico sia solo in parte naturale e molto, invece, influenzato dallo sviluppo culturale della società umana nel corso dei secoli, soprattutto dal momento in cui l’essere umano si fa stanziale per gestire i suoi primi possedimenti agricoli e inizia a difenderli con armi sempre più sofisticate. Da questa esigenza nascono strumenti come lo Stato-nazione e il governo, i confini e la burocrazia, il complesso militar-industriale – che sempre più si fa anche Potere dominante, come dimostrano gli ultimi anni – e, soprattutto, l’invenzione del nemico.
Per chi gestisce il monopolio della forza e della violenza questa figura diventa sempre più lontana – il signore feudale-condottiero combatteva in prima linea, il ministro no – finché a fare la guerra è chi non la decide e finché, in pieno delirio di onnipotenza, quello stesso Potere che la usa come strumento di politica internazionale muove l’unico conflitto che non è in grado di vincere: la guerra a Madre Terra, che pur non avendo missili e armi nucleari se attaccato tende a rispondere, anche abbastanza male. Sars-CoV-2 docet.
Qual è il limite alla Guerra contro Madre Terra?
Rendere trasparenti i dati sulle emissioni militari sarebbe un favore al nemico, che così otterrebbe informazioni fondamentali per le strategie di guerra senza, di fatto, fare il minimo sforzo per ottenerle. Per questo quando le Nazioni Unite adottano un corpus di linee guida volontarie, proposte dai suoi stessi Stati membri ed inserite nella Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC), su 193 Paesi aderiscono solo in 4: Germania, Gran Bretagna, Norvegia e Stati Uniti.
Il costo carbonifero dei conflitti deve essere capito, esattamente come quello umanitario, economico o i costi ambientali in generale
scrive sul Guardian il 9 gennaio 2024 Doug Weir, direttore del Conflict and Environment Observatory, organizzazione benefica britannica che studia la dimensione ambientale dei conflitti e dell’attività militare. Attraverso il Military Emission Gap, inoltre, l’Osservatorio si pone l’obiettivo di migliorare l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (Cop21, 2015) fornendo al decisore pubblico report periodici sulle emissioni militari.
Nell’edizione 2023 del suo Emission Gap Report, inoltre, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) suggerisce come tutti i Paesi dovrebbero collaborare per ridurre di 22 miliardi di tonnellate le proprie emissioni climalteranti entro il 2030 – pari al 42% delle emissioni globali, la quantità oggi coperta da Cina, Stati Uniti, India, Russia e Giappone, i 5 Paesi più inquinatori al mondo – con l’obiettivo di non far alzare il riscaldamento del Pianeta oltre la soglia critica di 1,5°C rispetto all’era preindustriale 1850-1900, che proprio dagli Accordi di Parigi viene indicata come limite invalicabile per assicurare la vita sul Pianeta. Il periodo scelto come termine di paragone non è casuale, ma indica una fase storica in cui i combustibili fossili non erano ancora associati all’idea di sfruttamento da parte dell’uomo.
Per approfondire:
Accordo di Parigi. Obiettivi e misure del più importante accordo internazionale sul clima – Ecco, il think tank italiano per il clima, 31 ottobre 2022
Che cosa è cambiato davvero cinque anni dopo l’accordo di Parigi – Andrea De Tommasi, Futuranetwork/Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, 9 dicembre 2020
Censurare per (non) deliberare
Durante la (inutile) Cop28 tenutasi a Dubai dal 13 novembre al 13 dicembre 2023, il Segretario generale dell'Onu António Guterres dichiara che nelle nuove policy per la difesa dell’ambiente non saranno previste eccezioni, ma oltre un anno dopo – conclusa anche la altrettanto inutile Cop29 (11-22 novembre 2024) - non sono stati stabiliti obblighi legali internazionali di trasparenza dei dati sulle emissioni militari nei processi di decarbonizzazione. Una decisione emblematica della sostanziale inutilità di tali assemblee – basti guardare ai 1773 lobbisti dei combustibili fossili accreditati dai governi nella sola assemblea del 2024 – e che indebolisce anche i discorsi sul rapporto tra armi e ambiente inseriti per la prima volta nell’agenda della Cop29.
Per approfondire:
Dubai: la Cop28 nelle mani dell’industria fossile – Riccardo Carraro, DinamoPress, 11 dicembre 2023
Cop28, la transizione non fa rima con Dubai – Marinella Correggia, ilManifesto, 23 novembre 2023
COP29, la farsa dell’ambientalismo pragmatico – Guido Viale, Pressenza International Press Agency, 16 novembre 2024
Campagna “Clean the Cop!”, per ripulire le negoziazioni della Cop29 dalle pressioni lobbistiche dell’industria fossile – Asud.net
Non conoscere il volume delle emissioni militari significa non conoscere il vero volume delle emissioni climalteranti in generale. Una forma di vera e propria censura, perché i dati vengono scientemente ignorati dai governi ai più diversi livelli, un esercizio che si declina in decisioni politiche prese su dati sbagliati – per difetto – e in azioni civico-attivistiche che, prese senza i dati “bellici”, risulteranno per lo più inadeguate.
L’ambientalismo è antimilitarismo. O non è.
In un episodio a tema “guerra e ambiente” della sua trasmissione “All Hail the Planet” , la giornalista di Al Jazeera Ali Rae evidenzia come, in termini di paragone con le emissioni militari, l’aviazione civile abbia un’incidenza del 2% sulle emissioni globali, il trasporto marittimo globale del 3%: solo una delle 3 voci, quella ad impatto minore, arriva però sui giornali e nel dibattito pubblico. Nick Buxton, ricercatore del Transnational Institute4, pone nella sua intervista con Rae un ulteriore dato in tal senso interessante: secondo i suoi calcoli, 1 ora di volo di un jet militare consuma in gas quanto un automobilista medio in 7 anni. Ora, calcolo da fare a spanne: quante domeniche “ecologiche” sarebbero necessarie per portare a zero l’impatto di un solo anno di volo di tutti i jet militari usati quotidianamente nel mondo?
Dati alla mano la domanda è d’obbligo: in una fase storica come quella attuale, è davvero utile quell’ambientalismo che non si fa anche antimilitarista, quella – giusta – lotta per la tutela del Pianeta che non parte dalla denuncia e dal contrasto dell’inquinamento bellico?
Breviario sulla stupidità della Scimmia nuda
Oltrepassare il limite di 1,5°C per ampi periodi – come successo proprio nel 2024 – significa trasformare Madre Terra in una gabbia fatta di ondate di calore più frequenti e ampie rispetto ad oggi; di innalzamento del livello dei mari anche per effetto dello scioglimento dei ghiacciai e con l’effetto di una maggior frequenza di inondazioni, siccità e altri fenomeni atmosferici estremi; di cambiamenti profondi nei modelli meteorologici e negli equilibri naturali, oltre che di perdita della biodiversità. Un evento come lo scioglimento dei ghiacci, ad esempio, aumenta tanto i livello di carbonio presenti in atmosfera quanto – per conseguenza diretta – l’impatto dell’effetto serra, con la possibilità, letterale, di resuscitare dei virus “zombie” considerati superati cui il corpo dell’Homo Sapiens moderno non è preparato.
L’alterazione delle correnti oceaniche dovuta alla fusione della calotta glaciale della Groenlandia modifica la distribuzione del calore nel Pianeta e, per questo, ha impatto sul plancton e sulla capacità di assorbimento dell’anidride carbonica (CO2), il principale tra i gas serra. Una profonda modifica degli equilibri naturali che incide sulla migrazione di persone e animali, in fuga da territori che l’uomo rende inabitabili e dove sempre più scarseggiano cibo e risorse per vivere una vita degna. Nasce così la connessione tra ambiente ed armi che, stando alle dichiarazioni politiche, diventerà perno centrale del sistema di sicurezza globale, creando un nuovo sistema più “green” che, ribadendo la vecchia ricetta capitalista, andrà a vantaggio dei pochi e a discapito del futuro dei molti.
Ignorare la prima estinzione di massa dell’Antropocene, come la chiamano esperti di vari ambiti scientifici – sesta in dato generale – è una chiara scelta del sistema politico, che con consapevolezza ha deciso di affrontare la rivolta di Madre Terra armando la Guerra, l’unico strumento davvero inutile in un conflitto del genere: le migrazioni che queste decisioni portano modificano le abitudini di persone e animali, tanto di chi parte quanto di chi accoglie, mentre la zootecnia ci ricorda che la migrazione degli insetti può far trasportare virus e malattie in giro per il mondo e, come il Sars CoV-2 ci ha insegnato, non c’è muro di confine, armato o meno, che possa arginare militarmente questa specifica migrazione.
Neanche gli spostamenti umani sarebbero in realtà arginabili con muri e fucili, ma affrontarli con la risposta militaresca è più semplice che porre in atto soluzioni economiche, sociali, sanitarie e in generale, di più equa redistribuzione delle risorse che abbasserebbero la necessità del migrare. Con progetti politici di quest’ultimo tipo salterebbe l’intera struttura delle relazioni politiche ed economiche per come il mondo è organizzato oggi.
Come cosplayer di Star Trek
In questa “ristrutturazione” del mondo attraverso il clima - “securitizzazione della crisi climatica”, la chiama Ali Rae - la Guerra ricopre un ruolo fondamentale, forse molto più di altri capitoli dell’”emergenza” climatica: in una plausibile lettura distopica sorge il dubbio che l’insieme delle guerre combattute da e tra gli uomini non siano che capitoli di una più ampia guerra a Pachamama5, combattuta dalla parte ricca e privilegiata del mondo mentre attende, come un cosplayer di Star Trek, di trasferirsi su un altro Pianeta da colonizzare. Spoiler alert: Sindemie, epidemie, eventi climatici sempre più estremi ci ricordano come quella alla Madre Terra sia una Guerra che l’uomo è destinato a perdere. E ad oggi non ci sono altri pianeti su cui “i potenti” possano trasferirsi alle stesse leggi e regole della loro Patria.
Per approfondire:
La visione di Elon Musk sul futuro: perché l’umanità deve colonizzare altri pianeti – Andrea De Tommasi, FuturaNetwork.eu, 19 dicembre 2023
Nasce Space it Up, il sistema spaziale italiano pronto alla sfida “multiplanetaria”. 13 Università, 10 centri di ricerca e 10 imprese per 9 linee di ricerca – Flavio Fabbri, Key4biz, 11 giugno 2024
Hawking: “Colonizzare altri pianeti è l’unica salvezza per l’umanità” – Repubblica Scienze, 20 febbraio 2015
Pechino guarda oltre il sistema solare per ‘colonizzare’ pianeti - Dario Salvi, AsiaNews.it, 11 maggio 2023
Oltre ad essere la principale manifestazione della violenza organizzata la Guerra è, intrinsecamente, anche una gigantesca e perenne crisi ambientale: mezzi, truppe e attrezzature sono direttamente responsabili dell’emissione di CO2; le esplosioni rilasciano nell’aria polveri e gas che si trasformano in sostanze inquinanti che il vento porta in giro per il mondo; sostanze tossiche di varia natura – metalli pesanti, idrocarburi, solventi organici, amianto, fosforo bianco, uranio impoverito – contaminano terreni, falde acquifere e fiumi, i cui tracciati vengono spesso deviati per opportunità belliche; lo spostamento delle truppe è causa diretta di deforestazione, dovuta anche agli incendi che si sviluppano come risultato di bombardamenti ed esplosioni.
Ognuno di questi elementi ha un impatto sociale, sanitario ed economico sulla vita e sulla quotidianità di persone e animali, costretti a spostarsi dalle loro case o dai loro habitat. Qualche esempio:
Ricerche realizzate da Emergency (2022) e dal Watson Institute for International&Public Affairs della Brown University (2019) indicano in 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 la quantità di emissioni imputabili al Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti nel periodo 2001-2017: è la stessa quantità emessa in un anno da 257 milioni di automobili
Nonostante non ve ne siano dal 1945, Italia e Francia vivono ancora gli effetti dei conflitti mondiali: nel nostro Paese ogni anno vengono individuati circa 2.500 residui bellici inesplosi; oltralpe, lungo il vecchio fronte della Somme c’è ancora il cratere di Lochnagar – 21 metri di profondità6; 100 di diametro – dovuto ad una mina britannica esplosa durante la prima guerra mondiale (1914-1918), considerato l’esplosione più violenta causata dall’uomo dopo le due bombe atomiche (1945)
L’ecocidio7 che gli Stati Uniti commettono attraverso la guerra in Vietnam (1955-1975), irrorandone il territorio di “Agente arancio”, un esfoliante a base di diossina che ancora oggi portano danni all’ambiente e alla salute, con malformazioni neonatali che si verificano ancora ad oltre 50 anni dalla conclusione del conflitto
Le guerre civili in Repubblica Democratica del Congo hanno portato alla deforestazione della seconda più grande area di foresta pluviale del Pianeta, mentre il taglio illegale del legno in Afghanistan (1990-2005) porta il Paese a perdere 1/3 degli alberi, contribuendo non solo alla deforestazione – locale e globale – ma anche alla perdita di specie, finché «nel 2013 almeno metà delle foreste afghane erano sparite», scrive Agnieszka Pikulicka-Wilczewska in un articolo per Al Jazeera del 2019 [“We’re in crisis”: the high price of deforestation in Afghanistan]
Nelle guerre del Golfo Persico (1990-1991 e 2003-2011) i combattimenti generano oltre 55 milioni di detriti, che aggiungono problemi di varia natura alla distruzione del sistema idrico e del sistema igienico-sanitario dell’Iraq, Paese dove i militari Nato fanno ampio uso di quei proiettili all’uranio impoverito che diventano l’emblema della guerra nei Balcani (1991-2001)
Sempre in Iraq, durante il conflitto del 1990-1991, la distruzione e gli incendi di circa 600 pozzi di petrolio rilascia in atmosfera 500 milioni di tonnellate di CO2, con un pesante incidente ambientale – quando 700 litri di petrolio si riversano nel mare del Golfo, colpendo 300 km di costa tra Kuwait e Arabia Saudita – e portando ad un abbassamento delle temperature di 5°C
Caso studio/1 – Sardegna, il laboratorio militare di cui è bene non parlare. Un’anticipazione
In Sardegna, l’associazione ecologista Gruppo di Intervento Giuridico denuncia da anni le esercitazioni nei poligoni militari di Capo Teulada e Capo Frasca, nel sud della Regione. Ne parleremo in modo più approfondito in un articolo a parte, qui evidenzieremo come tali esercitazioni – che non trovano mai l’interesse dei latifondi mediatici – vengano svolte senza Valutazione di Incidenza Ambientale (V.Inc.A8), in aree naturali protette per la salvaguardia di habitat e fauna selvatica. Attivi fin dagli anni ‘50 per effetto di accordi Nato, nel solo periodo 2008-2016 in questi poligoni sono stati impiegati oltre 556 tonnellate di esplosivo, causando una devastazione ambientale così ampia da rendere «pericoloso e antieconomico» qualunque tentativo di bonifica. Non ne vale più la pena, secondo le autorità del Comando del Poligono. I giudici concordano.
Per approfondire:
Capo Teulada, tutti assolti i generali accusati di disastro ambientale – Costantino Cossu, ilManifesto, 19 luglio 2024
I processi di Teulada e Tavolara e le difficoltà della giustizia in materia ambientale – Lisa Ferreli, Italiachecambia.org 16 settembre 2024
Pescatori del Sulcis contro le esercitazioni militari: quando e dove sono – CagliariToday, 22 ottobre 2024
Caso studio/2 - Ucraina, il “doppio affare” dell’inquinamento bellico
52,4 miliardi di euro, redistribuiti per lo più tra inquinamento dell’aria (27 miliardi) e da rifiuti (23,6 miliardi): a tanto ammonta, in termini monetari, il danno ambientale causato dalla guerra in Ucraina nel decennio 2014-2024 stando ad un calcolo del Parlamento europeo del luglio 2023. In una «crisi ambientale composita [e] multidimensionale», scrivono a Bruxelles, non tutti questi danni saranno «riparabili nel giro di poco tempo». Secondo la “mappa dei danni ambientali” realizzata da Greenpeace in collaborazione con l’ong locale “Ecoaction”, presentata a febbraio 2023, già il primo anno di guerra danneggia «circa il 20 per cento delle aree naturali del Paese» e circa «3 milioni di ettari di foresta».
Dati raccolti dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile indicano come nei primi 18 mesi di conflitto – nella fase mediatizzata iniziata dal 2022 – siano stati emessi in Ucraina 150 milioni di tonnellate di CO2 e gas serra, livello pari ad «un Paese fortemente industrializzato come il Belgio»: l’impatto maggiore, continua l’ASVIS, proviene dalle operazioni militari e dal carburante necessario a muoverle – che pesano per il 25% sulle emissioni totali – e dalla ricostruzione delle infrastrutture civili, un doppio affare che «costituisce la principale fonte di emissioni, ben il 36%» e su cui pesano anche atti di terrorismo di Stato come il sabotaggio del gasdotto North Stream o l’esplosione della diga di Khakovka del 6 giugno 2023, che porta alla contaminazione di 1 milione di ettari agricoli oltre a 80 tra città e villaggi e 48 aree protette.
Il mix di sostanze chimiche, esplosioni, incendi che la guerra porta sul territorio – ciò vale tanto per l’Ucraina quanto per tutti gli altri scenari di guerra – non solo inquina acqua, aria e terre ma compromette le catene alimentari di esseri umani e animali, mettendone in pericolo la salute, compresa quella delle generazioni future come in Vietnam.
Come paese europeo, l’Ucraina sarebbe parte di “Natura 2000”, progetto europeo inserito nella più ampia “Rete Smeraldo” per la protezione della biodiversità, delle specie vegetali e animali e degli habitat naturali e rari minacciati a livello continentale definita dalla Convenzione sulla Conservazione della vita selvatica e dei suoi biotipi in Europa del 1996: sotto il governo von der Leyen mostra tutta la sua sudditanza al complesso militar-industriale destinando alle armi fondi che sarebbero più utili a garantire livelli adeguati di istruzione e sanità pubbliche, perché la tutela dell’ambiente dovrebbe subire sorte differente?
La preoccupazione principale di Bruxelles, oltre a procrastinare una guerra al solo scopo di militarizzare l’intera Unione Europea, riguarda però l’inquinamento del suolo e l’impatto della guerra sulla produzione agricola, principale asset dell’area filo-atlantica del Paese prima del febbraio 2022 e di una parte della speculazione finanziaria che muove le borse affari. Ma questa è un’altra storia.
Caso studio/3 - Palestina, l’ecocidio nascosto dal genocidio
Come in Vietnam con gli Stati Uniti e l’Agente arancio, anche i bombardamenti di Israele in Palestina, Libano, Siria e – ad oggi – Yemen, lasceranno i propri segni per molti decenni: secondo un’analisi pubblicata da Greenpeace, le emissioni di carbonio necessarie a ricostruire la sola città di Gaza supereranno le emissioni annue di gas serra di 135 Paesi messi insieme, in un processo che – si legge nel rapporto “Gaza War: Expected socioeconomic impacts on the State of Palestine”, pubblicato a maggio 2024 dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) – impiegherà 80 anni solo per le case oggi distrutte. Tempi che non possono tener conto dei sicuri bombardamenti che Israele e la nuova amministrazione Trump realizzeranno sullo Stato di Palestina in futuro.[Revealed: repairing Israel’s destruction of Gaza will come at huge climate cost].
Accertato ma ignorato da decenni l’uso del fosforo bianco – una sostanza altamente tossica, vietata persino come arma chimica dalla specifica Convenzione del 1993 – sappiamo che soprattutto dal 7 ottobre 2023 Israele gode di un particolare status che gli permette di ignorare le più basilari norme del diritto internazionale. Una condizione che aiuta i latifondi mediatici ad ignorare non solo il processo per genocidio intentato dal Sud Africa presso la Corte Penale Internazionale, ma anche un ecocidio fatto tra gli altri di:
39 milioni di tonnellate di rifiuti tossici, di cui 79.000 tonnellate di esplosivi e metalli pesanti derivanti da missili e macerie: secondo l’Unep la media è di 107 kg/m2 in tutta la Striscia di Gaza
una epidemia di poliomielite nell’agosto 2024, derivante proprio dalla dispersione di tali rifiuti, di cui i latifondi mediatici si sono disinteressati [Damage to Gaza causing new risks to human health and long-term recovery]
contaminazione di suolo, acque e aria per effetto di munizioni e sostanze chimiche – anche esplosive – dispersione di liquami in mare (e parliamo del Mar Mediterraneo) e inquinamento dell’acqua potabile, dovuta anche a chiusura o distruzione degli impianti di trattamento delle acque reflue e del sistema di gestione dei rifiuti, con 5 strutture su 6 danneggiate e una media di 1.200 tonnellate di spazzatura che, a novembre 2023, si accumula per le strade della Striscia ogni giorno
2 milioni di tonnellate di CO2 rilasciata nell’aria già nei primi 2 mesi di occupazione successiva al 7 ottobre, stando ai dati di uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Social Science Research Network dal titolo “A Multitemporale Snapshot of Greenhouse Gas Emissions from the Israel-Gaza Conflict” [.pdf]. Il dato equivale alle emissioni prodotte in un anno da un Paese come il Niger, perno per il complesso militar-industriale sia nel controllo dei flussi migratori globali sia – attraverso il suo Delta – nell’alleanza tra armi e petrolio
Tutto questo non è una casualità di Guerra. È il risultato di una politica coloniale dal forte impatto ambientale – appoggiata senza vergogna dai Paesi grandi difensori ed esportatori di democrazia – che lega consumo di suolo, deforestazione e deviazione delle falde acquifere, pensata, progettata e realizzata da Israele per occupare illegalmente i territori dello Stato di Palestina e cancellare un’intera popolazione con qualunque mezzo possibile. Perché quando la Storia si ripete, capita anche che le vecchie vittime si trasformino nei nuovi carnefici con il plauso, scrosciante, dei difensori ed esportatori di democratici valori “universali”. E allora la domanda rimane: perché a Vladimir Putin è impedito ciò che a Benjamin Netanyahu è concesso?
La Guerra contro Madre Terra come strumento della lotta di classe
«Una volta che hai modificato l’ambiente ti devi poi adattare all’ambiente che tu stesso hai modificato», spiega Telmo Pievani in un’intervista del 2020 con Elisabetta Corrà per Tracking Extintion, nella quale il filosofo esperto in evoluzione pone l’accento sulla necessità di dar vita ad un «ecologismo umanista».
Cosa è il climate change? È un grande esperimento globale, il modo con cui una sola specie, Homo sapiens, per lo sfruttamento delle risorse, che hanno dato anche benessere ad una parte crescente di esseri umani, modificando l’ambiente, ha impoverito la nicchia ecologica in cui siamo immersi
«Esperimento» che già oggi viene pagato soprattutto dalle fasce più povere della popolazione mondiale, da chi si trova e troverà nelle zone del Pianeta più colpite dai cambiamenti climatici come le aree più tropicali ed equatoriali – che siano nei Paesi più poveri o i quartieri dei ricchi hollywoodiani di Los Angeles poco cambia – da cui saranno costrette a scappare, portando con sé tutto ciò che questo significa dal punto di vista sociale, politico ed economico.
Cibo, clima, acqua e in parte sabbia, diventeranno strumenti e motivi dei conflitti dei prossimi decenni, per l’azione congiunta tra aumento della popolazione mondiale, distruzione dei terreni agricoli o delle possibilità di pesca e, soprattutto, della speculazione finanziaria che su questi eventi verrà realizzata, come avviene con fenomeni come il “land grabbing” o la sua versione “green”.
In questo senso, la Madre Terra si fa obiettivo di Guerra ma anche strumento: osservate come un «unico, coerente, quadro politico» - per dirla con Pier Paolo Pasolini – le 56 guerre che oggi si combattono ed il loro impatto sull’ambiente quella che appare unendo i puntini altro non è che una riproposizione di quella lotta di classe mossa e vinta, secondo il magnate Warren Buffett, dai gruppi economici e politici che racchiudiamo sotto l’etichetta di “Potere” contro una maggioranza di persone lasciate sempre più prive di strumenti per difendersi, tanto al mero livello materiale che dal punto di vista culturale.
Un conflitto che si muove non solo attraverso bombe, guerre e armi chimiche ma anche con un sistema estrattivista di risorse che diventa sempre meno sostenibile, con produzioni industriali tossiche, la deforestazione e la cementificazione dei territori. Atti “bellici” che di fatto ruotano sempre intorno a due concetti fissi: la diseguale redistribuzione delle risorse e lo «sfruttamento dell’uomo sull’uomo». Una ricetta rimasta invariata nel corso dei secoli e che, insegnano i libri di Storia, vale finché qualcuno non decide di ”uccidere” l’idea che questo sistema diffonde.
Questo articolo fa parte della serie "GreenWarZone", l'approfondimento di Inchiostro Politico sull’impatto del complesso militar-industriale sull’ambiente. I grassetti nelle citazioni sono miei, dove non diversamente specificato.
Note:
Lo Scientists for Global Responsibility (SGR) è un’organizzazione indipendente britannica, composta da centinaia di scienziati di varia specializzazione oltre ad ingegneri ed architetti, che promuove l’uso etico della scienza, del design e della tecnologia per promuovere valori di giustizia sociale, sostenibilità ambientale, trasparenza e pace. Si occupa di 4 aree: sicurezza e disarmo; energia e cambiamento climatico; controllo della scienza e della tecnologia e tecnologie emergenti
Carbon footprint in inglese, è la quantità di emissioni di gas serra generate da un qualunque processo di produzione ed usate per definire l’impatto ambientale di una data attività. Definito all’interno del Protocollo di Kyoto (1997), oggi questa misurazione è allargata e calcolabile per qualsiasi attività umana, dai processi industriali fino all’invio di una mail
Nel 1967 lo zoologo, etologo e divulgatore scientifico Desmond Morris così definisce l’essere umano, che considera una delle 193 specie di scimmie esistenti da cui si differenzierebbe solo per l’assenza di peli sulla pelle. Lo studio “The Naked Ape. A Zoologist’s Study of the Human Animal” (McGraw-Hill editore), in italiano: “La scimmia nuda. Studio zoologico sull’animale uomo”, traduzione Marisa Bergami, Milano, Bompiani, 2018. Citazione ripresa dalla rete
Il TNI è una organizzazione non-profit olandese nel 1974 che lavora attraverso la pubblicazione di rapporti, libri, articoli e ricerche in vari ambiti, legati insieme dall’obiettivo di creare un mondo «giusto, democratico e sostenibile»
La “Madre Terra” o “Grande dea madre” nella cultura religiosa Inca e di altre comunità andine come gli Aymara e i Quechua, è la dea della fertilità, della fecondità e dell’abbondanza e, per estensione, della Terra. Viene rappresentata come una donna incinta con una sovrapposizione tra fertilità femminile e fertilità dei terreni da coltivare
Il dato è ripreso dal sito della Fondazione che dal 1978 gestisce e tutela il cratere
Ideato dal biologo Arthur W. Galston nel 1970, durante il suo impegno per mettere al bando l’”Agente Arancio” e reso famoso dall’allora primo ministro della Svezia Olof Palme, indica la volontà di distruggere un ecosistema o un disastro naturale imputabile all’attività dell’uomo. Dal 1978 esiste una Convenzione internazionale che vieterebbe l’uso di armi e tecniche capaci di causare danni all’ambiente, ma la cronaca dei decenni a seguire (di)mostra, nitidamente, come tale divieto sia rimasto pura teoria accademica, tanto che ancora oggi non esiste una vera e propria legge internazionale contro l’ecocidio
Studio previsto dal diritto europeo (art.6 c.3, Direttiva 92/43/CEE [.pdf], detta anche “Habitat”, introdotta in Italia dal D.P.R. n.357/97) per verificare l’impatto di un progetto su siti tutelati dalle leggi ambientali come i Siti di Importanza Comunitari, le Zone di Protezione Speciale e le Zone Speciali di Conservazione in base agli obiettivi di conservazione imposti sul sito posto sotto valutazione.